MV Agusta 750 Sport

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La MV Agusta 750 S è sempre stata capace di farsi riconoscere da lontano per la sua bellezza e finezza costruttiva ma non di farsi amare, forse per la sua inferiorità tecnica e prestazionale rispetto ad altre meno blasonate due ruote coeve di pari cilindrata. La particolarità della 750 Sport era quella di essere prodotta in maniera particolare : non vi era, infatti, da parte del conte Domenico Agusta, proprietario della Casa, nessun fine esclusivamente lucrativo.

La motocicletta nacque con l’intento di essere prodotta in un numero alquanto limitato di esemplari perché doveva rappresentare, sotto ogni aspetto, l’emblema della motocicletta italiana elitaria. La MV Agusta 750 Sport vantava un propulsore a 4 tempi, 4 cilindri affiancati fronte marcia inclinati in avanti di 20º, con testa e cilindri in lega leggera e canne in ghisa riportate, capace di erogare 69 CV Din a 7.900 giri/min.

La distribuzione era a due valvole in testa per cilindro. Il propulsore bialbero ad ingranaggi era direttamente derivato da quello delle celeberrime MV da Gran Premio. La testata monoblocco aveva le raccolte camere di scoppio e le valvole inclinate a V di 80º, comandate da due alberi a camme azionati da cascata di ingranaggi, con al centro una fessura dove entrava il terzo ingranaggio della cascata della distribuzione, che aziona i due alberi a camme.

L’accensione era a spinterogeno con ruttore (sito tra i cornetti di aspirazione dei carburatori), due condensatori e quattro distributori rotanti ad alta tensione. La lubrificazione era forzata con pompa ad ingranaggi e filtro a rete e cartuccia. Per quanto riguarda l’alimentazione, le differenze tra le due serie della 750 S sono pochissime: la prima, prodotta dal 1970 al 1973, montava una coppia di carburatori UB da 24 mm a vaschetta laterale; la seconda serie, prodotta fino al 1974, montava invece una coppia di carburatori Dell’Orto VHB da 27 mm a vaschetta centrale e, per motivi di robustezza e rigidità, era dotata di un cannotto di sterzo più lungo di quello montato sulla prima serie.

A richiesta dell’acquirente, la seconda serie poteva montare un doppio freno a disco anteriore. I collettori di scarico, privi di tubo di compensazione, potevano essere separati oppure 2 in 1 in 2, proprio per migliorare il tiro a bassi regimi. La frizione era a dischi multipli a bagno d’olio ed il cambio a cinque rapporti con ingranaggi scorrevoli sempre in presa ed innesti frontali era comandato da un pedale posto sulla destra della moto.

La trasmissione primaria era ad ingranaggi elicoidali e la secondaria ad albero con giunto cardanico. La fisionomia della maxi-sportiva era dominata dal suo potente propulsore, anteriormente perfettamente in linea con il panciuto serbatoio che fa da “berretto” alla particolare testata, che faceva intuire la distribuzione a doppio albero a camme in testa.

I semimanubri cromati erano molto belli, sportivi e la piastra porta-strumentazione aveva incastonate solo le spie essenziali; sulla testa di forcella era sito il frenasterzo regolabile con pomello in alluminio e l’acceleratore era un comodo Tommaselli a corsa rapida. I comandi elettrici della CEV, quasi ciclomotoristici, erano inadeguati per una moto blasonata e molto scomodi da azionare. In allestimento full optional, la 750 S, montava il doppio freno a disco Scarab con pinze idrauliche ed una bella carena integrale verniciata di bianco e rosso.

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