328 gare. 3 titoli mondiali. 29 vittorie. 99 podi. Il 65 come carta d’identità. Poi – solo per il 6 novembre – il 58 di Marco Simoncelli. MotoGP versione Capirex, pare un connubio messo lì per sempre. Invece, l’altro documento di riconoscimento.
38 anni. 22 di corse. I capelli hanno cambiato colore mentre Loris faceva lo slalom tra le curve. Le rughe sul viso, ormai, odorano di gomma e asfalto. In sella a una due ruote, Loris, ha visto il mondo che gli passava davanti. Tra cambiamenti reali e bluff colossali. L’alternarsi delle stagioni è stato un lineare trapasso di scuderia. Perché le chiappe di Capirex – su Honda, Yamaha, Aprilia, Ducati, Suzuki – sono un’impronta indelebile.
Fosse stato un calciatore, gli avrebbero intimato di imprimere l’orma del piede a Montecarlo. Nei panni dell’attore, avrebbe avuto la sua stella nella Walk of Fame.
Invece, Capirex, ha chiesto poco o nulla di quel che ha dato.
Semmai, ha reso per l’ennesima volta evidente quella incredibile capacità di adattarsi ai tempi, agli eventi, alle situazioni e ai colpi di coda – a volte da buttarci su risate a crepapelle, altre da masticare lacrime amare – e se ha scelto lui quando chiudere ha dovuto riscrivere il come.
Col 58 di Sic. Da amico speciale, da fratello maggiore. L’ultima gara è stata durissima.
A volte la commozione si insinua a issare barriere incredibili tra i resoconti e la voglia di andare oltre. Altre volte, tuttavia, frammenta ostacoli e consente di misurarsi con i propri limiti. Fisici e mentali. Capirex ha disintergrato i primi e superato anche i secondi sebbene Sepang e Valencia lo abbia messo a dura prova. Nel casco, nella tuta, tra le dita.
Simoncelli è una doppia pelle.
Vale ora, vale per sempre. Loris chiude le saracinesche di un paddock stranamente vuoto. In cui il volere e il dovere hanno cozzato tra loro, mettendo più di uno nella condizione di non capire cosa fosse meglio. Correre o non correre.