La MotoGP senza Sic, nel casino di Valencia nessuna preghiera alla Madonna

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Marco Simoncelli, più di una settimana dopo la Malesia.
In cui si è detto e scritto di tutto. In cui abbiamo detto e scritto giorno dopo giorno. Provando a capire e rispettare. Ponendo un filtro necessario al diritto di cronaca attraverso il volere della famiglia. Sic era gioia di vivere: lo rimarca la carta d’identità ma lo dicono i sorrisi da primo piano timbrati su ciascuna foto. Su ogni ripresa televisiva. Sic era vita che esplode: lo hanno ribadito familiari e amici, colleghi e tifosi. Allora, è sembrato doveroso (oserei dire di una naturalezza disarmante) seguire il flusso e tentare di trasmettere identico approccio. Le sue risate hanno stimolato le nostre. Fino a intuire che, anche nella maniera di raccontare gli eventi, qualcosa era già successo. E se la bella persona che è stata non svanisce così, c’è anche il resto.

Un campione. La prima percezione è stata quella di aver perso il futuro campione della MotoGP. Per i progressi evidenti messi in cantiere nel corso dei due ultimi anni; per il feeling con Honda Gresini che a tratti ricordava lo speciale legame del passato recente tra Valentino e la sua moto. L’impressione era che, semmai un altro avesse potuto permettersi il lusso di amoregggiare con la due ruote in diretta tv, ecco. Oltre al Dottore, quello potesse essere Simoncelli. Di qui, la seconda sensazione. Istintiva.

Il carisma, che passa dalla telecamera, o ce l’hai o non ce l’hai. Voglio dire. Vedi Jorge Lorenzo, e pare di guardare in faccia un ingegnere. Dall’enorme potenziale e dal talento enorme. Ma è potenziale e talento di un ingegnere. Lo vedo correre, Lorenzo, e pare lo faccia come uno in giacca e cravatta. Poi Casey Stoner. Stoner è figlio di quell’Australia che ricalca Las Vegas. Perfetto, quando va. A tal punto perfetto da rasentare l’artificio. Adoro Stoner, il pilota. Ma appena fuori dai confini delle proiezioni geometriche calcate dagli architetti della due ruote, varcata la soglia dell’imprevisto Stoner diventa un altro. Come i casinò quando d’improvviso entra uno e comincia a sbancare: si attivano centinaia di occhi da dietro pronti a scovare l’inganno. Il trucco. Eccolo, Stoner di fronte all’imprevisto. Che in attesa gli venga svelato l’inghippo, non sa che fare. Pedrosa ha cuore e cervello, ma. O solo cuore: diverte e cade. O solo cervello: sta buono e vince.

Invece Sic. Sic pareva uno messo lì a correre coi jeans. Con la maglietta bianca. Sic pareva una scarica di ormoni lasciata libera su circuito tracciato. Sapeva diventare scheggia impazzita e centrale energetica. Con la luce del sole o con i fari dei proiettori. Con il diluvio o con l’azzurro di un cielo d’estate. Sic era sempre lui. A cui, nel corso di una gara, poteva succedere di tutto. E vivere l’ultimo giro con gli occhi di Sic, pensando di essere lì, con le tue chiappe poggiate dietro le sue chiappe è sempre stata sensazione di adrenalina pura. Perché se l’ultimo giro di Lorenzo o Stoner è passerella lineare, quello di Sic era ultimo giro da tenerti aggrappato con tutte e due le mani. Solo perchè gli altri due, arrivatio all’ultima curva, avevano già fatto il vuoto? Forse, ma io Sic all’ultima curva affrontata da leader della gara dopo aver fatto il vuoto, a immaginarlo come Lorenzo e Stoner non riesco. A pensarci, mi vedo lì. Aggrappato al tavolo di fronte al divano mentre chiedo un piacere alla Madonna delle Grazie finché tutta la moto non oltrepassa il tizio messo lì a sbandierare. Da Valencia, poi, uno smette di farlo.

Il carisma, quello, o ce l’hai o non ce l’hai. Le vittorie, le esperienze aiutano ad acquisire e trasmettere sicurezza. Non danno la chiave d’accesso per finire nei cuori della gente. E lì – terza considerazione – ci si arriva partendo da altri sentieri. Che se vinci, non basta. Tant’è che Sic, a vincere per davvero, era lì lì per cominciare.

Che MotoGP sarà, adesso. Vien da dire, di primo acchitto, che ci si andrà forse più cauti. Negli azzardi in pista e nelle riflessioni fatte a cornice. Fino, evidente, al primo affondo degno di cronaca, alla prima lite tra centauri. Ancora prestissimo per le analisi tecniche, per i risvolti di mercato, per rivalse, rivincite e conferme. Intanto Valencia. Perché il minuto di casino di Valencia è altro momento per cui ne vale la pena. Lo ha invocato Paolo Simoncelli anteponendolo a qualunque altro omaggio pensato per Marco. Con quello spirito, si tenta di mettere in archivio una stagione finita anzitempo. In mezzo alle moto che sgasano, con il casino che viene su. Il rumore che sfida i decibel del lecito. Mentre sembrerà di sentire qualcuno dire

“Cioè, io avrei fatto più casino di così, diobo'”.

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